Sono quasi le 17,40 del 31 ottobre 1926 e sta per concludersi la visita di 24 ore del Capo del Governo Benito Mussolini. Il corteo di auto diretto alla stazione percorre Piazza Nettuno prima di imboccare Via Indipendenza fra ali di folla acclamante. Ma ecco che arriva l’Alfa rossa, bassa, aperta, guidata da Arpinati affiancato dal Duce con, dietro, Dino Grandi e il sindaco Umberto Puppini. Al Canton dei Fiori rallenta, quasi si ferma, e in questo momento echeggia un colpo di pistola. Il proiettile sfiora ma non ferisce il Duce. Il tenente Pasolini (padre di Pier Paolo) distingue l’attentatore e gli afferra il braccio, aiutato dal pattugliante Giovanni Vallisi che strappa la rivoltella. La scorta di Mussolini si avventa sul ragazzo che è trascinato dall’altra parte della strada davanti al Bar Centrale. I pugnali fascisti escono dai foderi al grido di “Morte!”. L’auto col Duce riparte per la stazione. Il presunto attentatore, colpito a gragnola dai pugnali, è scaraventato dall’altra parte di Via Ugo Bassi, ai piedi di Palazzo d’Accursio, dove si accascia. Sono le 18,30 quando il corpo è portato in una stanza della vicina Polizia poi all’obitorio in Certosa, dove, ore dopo, è riconosciuto dal padre.
Si chiama Anteo Zamboni, ha 15 anni e 8 mesi ed è figlio di Mammolo e Viola Tabarroni che vivono con la sorella di lei, Virginia, in Via Fondazza 14. Chi fu a sparare? Un complotto? Fascisti dissidenti? Un attentatore isolato? Un mistero italiano non ancora sciolto nemmeno dalle lapidi che, al Sacrario dei Partigiani alla Certosa, lo ricordano come “Vittima giovanetta immacolata” e all’angolo Nettuno-Bassi come “Martire… per audace amore di liberta”.
(Dall'articolo: “Un braccio sopra la mia spalla ha fatto fuoco contro Mussolini” di Claudio Santini pubblicato su Portici 1/2004)