Mentre 5.470 studenti sono alla vigilia degli esami di Stato nelle scuole superiori bolognesi (compresi 340 privatisti), non sono poche le incognite che riguardano il mondo della scuola, i giovani e le loro famiglie. La prima è stata sciolta solo nei giorni scorsi e riguarda il cambiamento nelle votazioni minime per l'ammissione stessa agli esami di stato. Sino all'anno scorso, anche se la media non raggiungeva il sei, con motivazione del consiglio di classe si poteva essere ammessi all'esame. Da quest'anno, secondo gli intendimenti ministeriali, sarebbe stato necessario il sei (come minimo) in ogni materia, ma questa disposizione (che avrebbe comportato la mancata ammissione di almeno il 40% degli studenti, o in alternativa, come più probabile, un semplice innalzamento dei voti insufficienti) è stata rinviata al prossimo anno, e si è passati al minimo del sei come media di tutte le materie e della condotta.
Alla fine potrà essere proprio il voto in condotta, già pubblicizzato come mezzo di "nuovo rigore" nella scuola, a far ammettere chi ha qualche insufficienza. La seconda novità riguarda il punteggio della maturità: aumenta il peso (da 20 a 25 punti) della valutazione dei risultati ottenuti negli ultimi tre anni di studio, mentre si abbassa quello delle prove orali (da 35 a 30) e resta invariato quello delle prove scritte (45). Rimane il fatto che l'approccio ministeriale è solo tecnico-amministrativo e non tiene conto dei problemi reali della scuola, del perché nelle superiori è così alto l'insuccesso scolastico e formativo, del perché la scuola media inferiore costituisca un "buco nero" dopo il quale, al primo anno dei licei, dei tecnici e dei professionali, più della metà dei giovani trovano molta difficoltà a proseguire gli studi. E soprattutto continua a non voler tenere conto che quanto più la scuola è "di massa" o meglio "per tutti" (nel Bolognese il 100% di chi finisce la media) tanto più occorre dedicare attenzione a ciascuno.
Gli organici di diritto sono ormai definitivi e per la provincia di Bologna il "buco" è di 450 docenti. Se non si provvederà con gli organici di fatto che verranno decisi nelle prossime settimane, la nostra scuola subirà un duro colpo in tutti gli ordini e gradi, specialmente negli istituti di montagna e in quelli di periferia. Solamente per la scuola dell'infanzia mancano 43 insegnanti (38 per le nuove sezioni e 5 per il completamento nelle sezioni dove si fa scuola solo la mattina). E se aggiungiamo le richieste di statalizzazione per 24 sezioni gestite dai Comuni, mancano ben 91 insegnanti. Nessuna risposta è stata data ai Comuni che hanno allestito, a proprie spese, nuove aule per l'aumento dei bambini e delle bambine della scuola dell'infanzia. Sono 600 in lista d'attesa nei comuni di Bologna, Anzola Emilia, S. Giovanni in Persiceto, Sant'Agata Bolognese, Casalecchio di Reno, Castello di Serravalle, Zola Predosa, Argelato, Baricella, Budrio, Castel Maggiore, San Pietro in Casale, Molinella, Pieve di Cento, Castel Guelfo, Imola, Medicina, Castel San Pietro, Loiano e Monterenzio. A pagare caro saranno gli studenti più deboli e le loro famiglie, quelle le cui condizioni sociali ed economiche non consentono di supplire con apporti privati per ripetizioni, per coprire le ore in meno nella scuola, per le lingue, per le attività extra-curriculari. Ci sono incognite anche per i posti di sostegno agli studenti con disabilità.
E' un tema grave, per il quale il Ministero si sottrae a ogni confronto (salvo limitarsi ad affermare che tutto, compreso le cosiddette "riforme", è basato sui tagli economici stabiliti a priori con la legge finanziaria). E anche a livello territoriale, le competenze per la programmazione dell'offerta formativa di Regione, Province, Comuni vengono di fatto vanificate dalla mancanza di interlocutori. Altrettanto grave è il taglio di 1.600 posti di lavoro in due anni nel nostro territorio (la più grande "azienda" della provincia), mentre gli altri Paesi aumentano gli investimenti nell'istruzione e nella ricerca come "volano" per superare la crisi. Infine, senza alcun dibattito nel mondo scolastico e neppure nelle aule del Parlamento, il 4 giugno è stato presentato dal Ministro della Scuola il regolamento di riforma dei licei, dopo che il Governo ha approvato il 28 maggio la riforma dell'istruzione tecnica e professionale. Si tratta di provvedimenti importantissimi per il Paese, per il futuro dei giovani e delle singole comunità, per il loro sviluppo culturale, civile ed economico. Il superamento della frammentazione di indirizzi e specializzazioni è opportuno, ma la riduzione del 30% delle attività di laboratorio nei tecnici e nei professionali risponde a una logica di tagli economici che impoverisce proprio il "cuore" di quelle scuole. L'abolizione della "compresenza" nelle ore di laboratorio dell'insegnante di teoria e di quello tecnico renderà poi poco utili anche le ore rimaste, tenuto conto anche dell'aumento degli alunni per classe e quindi dell'impossibilità di seguire seriamente queste attività.
Le ore di economia e di diritto vengono abolite negli ultimi tre anni dei tecnici, dopo che si era parlato di estenderle a tutte le scuole superiori, come base di "educazione alla cittadinanza". Insomma, per i giovani che si sono iscritti a febbraio nelle prime classi delle superiori non mancheranno le sorprese, ma neppure per quelli che arrivano in seconda (la riforma parte appunto contemporaneamente nelle prime e nelle seconde). Inoltre il taglio di otto ore di insegnamento alla settimana sarà praticato anche nelle terze e quarte, senza fornire alcun criterio di coerenza con i piani di studio. A dispetto delle dichiarazioni di continuità rispetto ai piani di riforma del Ministro Fioroni, non si trova altra logica, anche in questo segmento di istruzione, che non sia quella dei tagli alle risorse per la scuola, come del resto esplicitato dal Piano che fa riferimento alle "misure di contenimento della spesa" per l'intero sistema scolastico (con il taglio nel triennio di ben 21.000 posti nella sola scuola superiore).