Truccato Maria Luisa - Marisa Merz

Varianti del nome: Marisa Merz

 

Luogo di nascita: Torino

 

Data di nascita: 23 maggio 1931

 

Luogo di morte: Torino

 

Data di morte: 20 luglio 2019

 

Ambito di attività: scultura – installazione (arte povera)

 

Ambito geografico di appartenenza: nord d’Italia (Torino)


Qualifica: Artista

 

Periodo: XX e XXI secolo

 

 
 
Bibliografia

- T. Trini, Marisa Merz: una mostra alla Galleria Sperone, in «Domus», n. 454, 1967, Milano, p. 52

- G. Celant, Arte povera. Appunti per una guerriglia, in «Flash Art», n. 5, novembre-dicembre 1967, Milano (leggi qui)

- T. Trini, Marisa Merz, in «Flash Art», n. 5, novembre-dicembre 1967, Milano

- T. Trini, Nuovo alfabeto per corpo e materia, in «Domus», n. 470, gennaio 1969, Milano, pp. 45-51

- A. Boetti, Lo Specchio ardente, in «Data», n. 18, settembre-ottobre 1975, Milano, pp. 50-55

- G. Celant, Una Scarpetta di nylon con tanti chiodi, in «La Repubblica», n. 4-5, dicembre 1977, Roma

- L. Licitra Ponti, Marisa Merz, in «Domus», n. 579, febbraio 1978, Milano, pp. 48-49

- M. Merz, Da dove viene il rame? Una mostra di Marisa Merz, in «Domus», n. 579, febbraio 1978, Milano, p. 49

- M. Merz, Legni abbandonati sul campo, in «Domus», n. 579, febbraio 1978, Milano, p. 50

- Marisa Merz: 1977-79, catalogo della mostra alla Galleria Toselli di Milano, 1978

- C. Ferrari, L’età del rame, in «Data», n. 31, marzo-maggio 1978, Milano

- L. Rogozinski, Marisa Merz, in «Flash Art», n. 98-99, 1980, Milano

- Marisa Merz, catalogo della mostra alla Galerie Konrad Fischer di Dusseldorf, 1983

- B. Merz, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Marco Gastini, Mario Merz, Marisa Merz, Gilberto Zorio. Il disegno in dialogo con la terra, catalogo della mostra alla Galerie Albert Baronian di Bruxelles - Le Zoute Musée d'Art Moderne de la Ville de Liége, 1984

 - M. Merz, Senza titolo, 1982, in «Rivista A.E.I.O.U.», n. 12, 1985, pp. 68-69

- C. Christov-Bakargiev, Arte Povera 1967-1987. An Indirect continuity runs down through Antiform and Arte povera to intertextuality and the “weak” relativistic subject of the 1980s, in «Flash Art International», n. 137, novembre-dicembre 1987 (leggi qui)

- G. Celant, Marisa’s Swing, in «Artforum», v. XXX, n. 10, estate 1992, New York, pp. 97-101

- C. Grenier, Marisa Merz, catalogo della mostra al Centre Georges Pompidou di Parigi, 15 febbraio - 2 maggio 1994

- M. Obrist, D. Schwarz, Marisa Merz, catalogo della mostra al Kunstmuseum di Winterthur, 17 giugno - 27 agosto 1995, Richter & Fey Verlag Gmbh, Düsseldorf 1995

- N. Princenthal, Marisa Merz at Barbara Gladstone, in «Art in America», febbraio 1995, New York, p. 92

- Mi Schwendener, Marisa Merz. Barbara Gladstone, in «Flash Art», giugno 1995, Milano, p. 111

- P. Castagnoli, D. Eccher, Marisa Merz, catalogo della mostra alla Galleria d'Arte Moderna - Villa delle Rose di Bologna, 21 maggio - 5 luglio 1998, Hopefulmonster, Torino 1998

- D. Schwarz, Marisa Merz, catalogo della mostra al Kunstmuseum di Winterthur e alla Gladstone Gallery di New York, Hopefulmonster, Torino 2004

- L. Conte, Appunti per il disegno di Marisa Merz fra anni Settanta e anni Ottanta, in «Quaderni di scultura contemporanea», XXV, n. 12, 2004, pp. 115-129

- I. Panicelli, Marisa Merz, Madre, in «Artforum», estate 2007, New York, p. 516

- D. Schwarz, The Irony of Marisa Merz, in «October», n. 124, primavera 2008, Cambridge (Massachusetts)

- R. Ferrario, Le signore dell’arte, Mondadori, Milano 2011, pp. 117-140

- Marisa Merz, catalogo della mostra alla Fondazione Merz di Torino, 2012

- C. Italiano, A Proposito di Marisa Merz, Mousse Publishing, Milano 2013

- G. Celant, Lecture al Museo di Arte Cicladica di Atene, 11 ottobre 2013 (guarda video)

- T. Trini, Prima della figura (1995), in L. Cerizza (a cura di), Mezzo secolo di arte intera. Scritti 1964-2014, Johan & Levi editore, Cremona 2016

- C. Crescentini, C. D’Orazio, F. Pirani, Marisa e Mario Merz. Sto con quella curva della montagna che vedo riflessa in questo lago di vetro. Al tavolo di Mario, catalogo della mostra al MACRO, Museo d'arte Contemporanea di Roma, 18 febbraio - 12 giugno 2016, Manfredi Edizioni, Cesena 2016

- C. Butler, Marisa Merz. The Sky Is a Great Space, catalogo della mostra al Hammer Museum di Los Angeles, 24 gennaio - 7 maggio 2017, DelMonico Books/Prestel, New York 2017

- P. Ugolini, La densa leggerezza di Marisa, in «Exibart», n. 97, marzo-giugno 2017, Roma, pp. 18-19

- E. Fulco, Marisa Merz a New York: ridisegnare il tempo, in «Artedossier», n. 342, aprile 2017, Giunti Editore, Firenze 2017

- Marisa Merz. Il cielo è grande spazio, catalogo della mostra al Museum der Moderne di Salisburgo, 25 maggio - 4 novembre 2018

- L. Dick, Marisa Merz: The Sky Is a Great Space. Met Breuer, New York - Hammer Museum, in «X-TRA», vol. 20, n. 3, primavera 2018, Los Angeles, pp. 4-25

- B. Merz, Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici, catalogo della mostra alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano, 22 settembre 2019 - 12 gennaio 2020, Mousse Publishing, Milano 2019 (leggi qui)

- O. Basciano, Marisa Merz obituary, in «The Guardian», 26 luglio 2019, Londra (leggi qui)

- A. Contini, Marisa Merz, donna e artista dall’intensità segreta e dirompente, in «cultweek», 24 settembre 2019 (leggi qui)

- L. Cherubini, Controcorrente. I grandi solitari dell'arte italiana: Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Fabio Mauri, Vettor Pisani, Marisa Merz, Christian Marinotti, Milano 2020

- L. Madaro, Archivio Merz. Mario e Marisa, coppia ad arte, in «Arte», n. 572, Mondadori, Segrate 2021, p. 69-74

- M. Boggia, Marisa e Mario Merz. La punta della matita può eseguire un sorpasso di coscienza, catalogo della mostra alla Fondazione Merz di Torino, 27 aprile 2021 – 9 gennaio 2022, Hopefulmonster, Torino 2021

 
Biografia

Marisa Merz, all’anagrafe Maria Luisa Truccato, nasce nel 1926 a Torino, dove frequenta fin dall’adolescenza il vivace ambiente culturale e dove ha vissuto e lavorato per la maggior parte della sua carriera artistica.

Esordisce nella metà degli anni Sessanta, creando principalmente per se stessa e rifiutando di definirsi. Ancora nel 1975, rispondeva ad Anne Marie Boetti Sauzeauche: «l’artista è un ruolo stabilito, come la moglie, il figlio. Ma io non ci sto mica in questi ruoli, ruoli separatori, elenchi [...]. No, non c’è mai stata separatezza tra il mio lavoro e la mia vita».

Interessata fin dagli inizi alle tematiche dello spazio pubblico-sociale e dello spazio privato-interiore, nel 1966 apre le porte della sua casa-atelier, introducendo una riflessione a lei cara sulla sfera del domestico. Tra le mura dello studio espone quindi le Living sculptures, creazioni in lamine di alluminio, composte da più elementi spiraliformi, forme metamorfiche ed enigmatiche in opposizione al rigore del minimalismo allora vigente. Le sculture, che inizialmente si insediano solamente sopra il fornello della cucina, alla fine colonizzano l'intera residenza, insinuandosi dietro la televisione e sopra il tavolo da pranzo: «la casa era completamente invasa», ha ricordato il regista Tonino De Bernardi. Per Marisa e Mario Merz, infatti, vita e lavoro sono sempre fortemente connessi tra loro, in una fusione quasi totale della loro pratica individuale. Nel loro spazio non è sempre chiaro quale sia il lavoro di lei e quale quello del marito, entrambi lavorano sull'arte dell'altro in uno scambio reciproco carico di rispetto e orgoglio.

Legate alla ricerca sui materiali e a una progettualità essenziale, queste prime opere di Marisa Merz – presentate da Sperone a Torino già nel giugno del 1967 – anticipano e preparano la partecipazione dell’artista al movimento dell’Arte Povera, di cui sarà unica donna a farne parte.

Si unisce ufficialmente al movimento lo stesso anno, partecipando alla prima mostra collettiva della corrente curata da Germano Celant alla Galleria La Bertesca di Genova. Il teorico la invitò in seguito ad alcune sue sperimentazioni con materiali instabili, malleabili ed effimeri come la lana, la cera e il rame con cui l’artista cuciva oggetti dal coinvolgimento intimo e dalla grande delicatezza.

Con alcune azioni – celebre quella con le coperte arrotolate disposte sul bagnasciuga di Fregene nel 1970, in occasione della sua prima personale alla galleria L'Attico di Roma – Merz introduce nel linguaggio della scultura contemporanea, esasperata dalla pop art e dal minimalismo, tecniche e manufatti artigianali della tradizione. Con la sua arte vuole trasportare i gesti caldi e privati dell'intreccio e del ricamo, prendendo così le distanze sia dalla poetica razionale delle strutture primarie del già citato minimalismo, sia dal gruppo dell’Arte Povera, rispetto al quale mostra fin da subito una sensibilità originale ed eccentrica. Merz indirizza l’attenzione del suo fruitore verso le tecniche dell’artigianato, attribuendogli piena dignità artistica: gli sussurra l’importanza del fare e la sensibilità femminile. La sua arte è raffinata, intensa, sottile e privata. Le sue sculture, installazioni e disegni, dai toni poetici e misteriosi, «suggeriscono qualcosa di segreto e di prezioso nascosto nella loro trama.» (Christov-Bakargiev).

Come avviene in molte carriere di artiste donne, il suo tempo è discontinuo, per via dell’intreccio lavoro/vita e delle priorità di volta in volta spostate, ma queste interruzioni sono soprattutto apparenti, comunque mai rimpiante, anzi vissute come intervalli fertili. Nell’intervista già citata con Anne Marie Boetti Sauzeauche, ha raccontato così della prima infanzia della figlia Beatrice: «Allora mi sono fermata. Seduta su questa poltrona, due anni seduta. Mi alzavo solo per Bea. Non facevo più lavori d’arte». In realtà, Marisa Merz lavora sempre, “crescendo” nuovi pezzi come ha cresciuto i cristalli di sale, spaziando dal disegno alla scultura (cera, paraffina, argilla non cotta completata con foglio d’oro o rame o l’acqua).

Negli anni Settanta produce installazioni accostando opere realizzate in precedenza, in una sovrapposizione di materiali, linguaggi e dimensioni temporali. É il caso di Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti, opera presentata alla XXXVI Biennale di Venezia, dove riunisce le sculture in filo di rame la Scodella di sale (1967), Bea (1968) e Scarpette (1968).

Il carattere ambientale delle sue opere si fa sempre più insistente negli anni Ottanta con la creazione di opere-stanze, come quella allestita per Documenta 9 di Kassel del 1992, che inaugura una modalità espositiva di tipo dialogico. Sono luoghi di accoglienza questi, dove abitano il silenzio, la tenerezza e il ricordo.

Negli stessi anni si fa strada l'interesse per il volto umano e realizza piccole sculture, modellate in argilla cruda, gesso e cera, intitolate Teste, e diverse opere su carta che vedono come soggetto il volto, in particolare quello femminile. Sono anche queste sculture viventi, teste vive, che accompagneranno l’artista per più di un quarantennio, «visioni fatte emergere dalle profondità del Caos, dove la figura della Donna e il volto dell'artista si intrecciano e si mescolano.» (Grenier, 1994). I suoi disegni a matita, che talvolta impiegano anche pastelli o tecniche miste, sono ritratti o autoritratti in cui l’immagine emerge da un groviglio di segni. «Le pitture e le sculture di Marisa Merz esprimono un grande turbamento dell’identità, e in questo turbamento crescono altere», scriveva Tommaso Trini nel 1995.

Le mostre personali organizzate al Centre Pompidou nel 1994 e allo Stedelijk Museum nel 1996 consolidano la sua fama internazionale. Nel 2013, insieme alla pittrice austriaca Maria Lassnig, riceve il Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia e nello stesso anno la Serpentine Gallery di Londra ospita una sua grande personale. Nel 2017 il Metropolitan Museum di New York le dedica una retrospettiva dal titolo “The Sky is a Great Space”, e la sua ultima personale, “Geometrie sconnesse palpiti geometrici”, è inaugurata due mesi dopo la sua morte, nel 2019, al Masi di Lugano.

Nel 2021 La Fondazione Merz ha ospitato una doppia personale dal titolo “La punta di matita può eseguire un sorpasso di coscienza”, con opere di Marisa e Mario Merz per lo più inedite, in un allestimento curato da Mariano Boggia.

 

Si consiglia di visitare la Fondazione Merz di Torino e consultare i volumi raccolti nell’ Archivio .