Goldmann Amalia

Varianti del nome: Amalia Goldmann Besso

 

Luogo di nascita: Trieste

 

Data di nascita: 14 ottobre 1856

 

Luogo di morte: Roma

 

Data di morte: 29 ottobre 1929

 

Ambito di attività: pittura

 

Ambito geografico di appartenenza: nord-est e centro Italia (Trieste – Roma)


Qualifica: Pittrice

 

Periodo: XIX e XX secolo (dal 1980 circa)

 

 
 
Bibliografia

- Esposizione-lotteria artistica, in «Il Piccolo», 16 febbraio 1894, Trieste, p. 2

- Rassegna di belle arti, in «Rivista d’Italia», vol. 1, fasc. 4, Roma 1898, p. 791

- La promotrice a Roma, in «Corriere della Sera», 13 aprile 1901, Roma, p. 3

- M. P. De Benedetti, L’esposizione promotrice di Roma, in «L’arte», vol. 4, Roma 1901, p. 183

- L'arte e la donna: la pittrice Amalia Besso, in «Regina: rivista per le signore e per le signorine», n. 8, 30 agosto 1907, Napoli, pp. 4-7

- Impressione alpina, in «Il Risorgimento Grafico», a. 6, n. 1, Milano 1908

- L. Brechini, La Section Italienne, in «Les Tendances Nouvelles», n. 45, s. d., p. 1031

- V. Rossi Sacchetti, L’art moderne italien au Salon d’Automene, in «L’art decoratif», vol. 22, Parigi 1909, p. 157

- A. Labbati, Amalia Besso, in «La Donna», a. VI, n. 132, 20 giugno 1910, Roma, pp. 18-19

- in «Corriere dei piccoli», a. 2, n. 25, 19 giugno 1910, p. 15

- A. Vivanti, Impegni, in «Corriere della Sera», 25 giugno 1914, p.3

- The Ryders Galleries, in «The Globe», 27 maggio 1914, Londra, p. 9

- G. Cavaciocchi, Amalia Besso nell’arte e nella vita, in «Il mondo», 8 dicembre 1922, Roma

- Catalogo della mostra alla Galleria Michelazzi, Trieste 1926

- Strazzacavei, Nella Galleria Michelazzi in Piazza Unità, in «MARAMEO! Giornale politico satirico pupazzettato», n. 22, a. XVI, 28 maggio 1926, Trieste

- E. Salvioni, “L’arte del paesaggio” seconda mostra nazionale dell’arte del paesaggio promossa dall’Associazione Nazionale per i paesaggi e i monumenti pittoreschi d’Italia, in «Il Solco», a. II, fasc. VII, luglio 1927, Roma, p. 318

- F. Orestano, Amalia Besso (1856-1929): commemorazione al Lyceum Romano (14 dicembre 1929-VIII), in «L'Universale», Roma 1930

- G. Sottochiesa, Lettere a ‘Quadrivio’, A quando l’epurazione delle nostre gallerie d’arte dalle opere ebraiche?, in «Quadrivio», 18 dicembre 1938, Roma, p. 6

- A. Caracciolo, Una diaspora da Trieste: i Besso nell'Ottocento, in «Quaderni storici», n. 18, Il Mulino, Bologna 1983, pp. 897-912

- S. Vastano, Goldmann Besso Amalia, in «Dizionario Biografico degli italiani», n. 57, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2001

- Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica, catalogo della mostra alla Galleria d'Arte Moderna di Roma, 12 giugno-5 ottobre 2014, Edizioni TRART, Venezia-Trieste 2014

- F. Lombardi, L’Esposizione Internazionale Femminile di Belle Arti (Torino, 1910-1911; 1913). Note su genere, arte e professione in Italia all’inizio del XX secolo, in «Artl@s Bulletin 8», n. 1, 2019, pp. 39-54

- M. Cadelo, Modelli femminili di beneficenza a confronto nell’età dell’emancipazione ebraica: le opere pie di Roma e di Torino, tesi di dottorato di ricerca in Studi ebraici, Bologna-Parigi 2020, pp. 99-110

- D. Spagnoletto, Amalia Goldmann Besso (1856-1929). Un’artista tra identità ebraica e impegno politico, in «Archeografo Triestino», Serie IV, Volume LXXX (CXXVIII della Raccolta), 2020, pp. 328-371

 
Biografia

Amalia Goldmann nasce a Trieste nel 1856 da genitori di origine ebraica, Carolina ed Enrico Norsa. Il padre, imprenditore, si era trasferito dalla Moravia a Trieste dove aveva fondato una società d’intermediazione commerciale chiamata Goldmann e Paris, attività che nel 1873 risentì del crollo della borsa di Vienna.

Poche sono le testimonianze sull’infanzia di Amalia Goldmann e pare non vi siano documenti attestanti insegnamenti accademici nella sua giovinezza. Nota però è la sua formazione da autodidatta, segnata da una vivace passione per le arti e una precoce vocazione per la pittura e il disegno. Dirà più tardi in un’intervista: «Sin da bambina [...] ho sempre desiderato diventar pittrice: invano, però, chè vi ostarono le idee dei tempi e le vicende della mia famiglia.» (1922). I genitori, infatti, limitarono molto la giovane Amalia, non vedendo di buon grado il suo interesse verso questo campo. Perduti o donati alle amiche d’infanzia sono i suoi primi disegni, creati probabilmente di nascosto o nelle poche ore che poteva dedicare alla pittura.

Le fonti riportano qualche dettaglio più certo sulla vita di Amalia Goldmann dopo il matrimonio nel 1883 con Beniamino Besso, fratello del più noto Marco, dirigente d'azienda, studioso e mecenate, anch’egli di famiglia ebraica triestina, cresciuto quindi nello stesso contesto della pittrice e animato da un sentimento di rifiuto per l’autorità austriaca. «Trieste ebbe il suo bravo ginnasio-Liceo italiano; da questo uscì più di una generazione di giovani valorosi, molti dei quali, insofferenti dell’oppressione austriaca emigrarono nel Regno dedicandosi principalmente all’insegnamento: compresi il caro fratello Davide […] e l’altro mio fratello Beniamino», racconta Marco Besso nella sua autobiografia (1925).

Nello stesso anno Amalia Goldmann Besso si trasferisce a Roma con il marito, il quale, dopo la scomparsa dei genitori di lei, la incoraggerà a dedicarsi alle arti, esercizio che da tempo aveva trascurato. È in questi anni che riscopre la pittura, incontrando, durante un soggiorno a Biella, Lorenzo Delleani, artista che, dopo aver dedicato gran parte della sua carriera alla rappresentazione di soggetti storici e accademici, sul finire del secolo converte la pittura riproducendo paesaggi, rigorosamente en plein air. Forse per questo, escludendo una figura femminile e qualche ritratto di famiglia, Amalia Goldmann Besso si concentra sulle vedute, naturali e cittadine, come dimostrato da La strada, il dipinto Villa Medici, inviato a Trieste nel 1894 per una vendita benefica e gli studi di paesaggio presentati nel 1898 alla mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma.

Goldmann non frequentò mai accademie ma coltivò importati rapporti con artisti e letterati, approfittando dell’influenza esercitata dalla famiglia del marito. Nella capitale ha l’opportunità di studiare come apprendista nello studio di Camillo Innocenti, incontro che condizionerà fortemente non solo la sua pittura ma anche le sue scelte espositive. Per otto anni, infatti, i due artisti lavorarono l’uno accanto all’altra in un sodalizio artistico teneramente testimoniato dall’opera presentata dall’artista romano alla Biennale di Venezia del 1903, raffigurante la pittrice all’opera.

«Una figura di donna dipinta con franchezza di pennello e chiarezza di luce». E ancora «di carattere incerto, dove sono superate con disinvoltura parecchie difficoltà come quella d’intonare le carni con il fondo e le vesti che sono di un colorito rosso-dorato, caldo e ricco; ma lo scorcio è un po’ goffo e il disegno lascia a desiderare.» (De Benedetti, 1901). Così è descritta Nemesi, il dipinto purtroppo perduto che Goldmann Besso presenta all’esposizione della Promotrice del 1901 di Roma. La sua pittura torna a rappresentare la figura femminile, soggetto di lì a poco centrale della sua indagine artistica, con una mano forse ancora accademicamente inesperta ma certamente originale e determinata.

L’artista in questi anni prende parte a numerose esposizioni in Italia e all'estero: nel primo decennio del Novecento le sue opere sono all’Esposizione Universale di Saint Louis nel 1904, a Vienna nel 1906 e al Salon d’Automne di Parigi del 1909. Nella capitale francese l’artista presenta tre opere definite da un recensore «deliziose, dal colore audacemente trattato». È presente alle mostre annuali allestite dalla Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma e nel 1905 alla Biennale di Venezia con l’opera Il ventaglio: ora la donna di Goldmann Besso è alla moda, frequenta i salotti e si interessa alla vita mondana.

Spartiacque per la sua vita personale e la sua carriera artistica è la perdita del marito, fatto che la spingerà a ridefinire se stessa. Rimasta vedova nel 1908, infatti, Amalia Goldmann Besso decide di aprire un suo studio in via del Babuino a Roma dove esporre le sue opere e invitare ogni lunedì «amici, artisti, musicisti nostri e cosmopoliti.» (1922). Ma non solo, l’anno successivo intraprende diversi viaggi in Italia, nelle principali capitali europee, negli Stati Uniti, in Egitto, in Palestina e in Giappone, dove si fermò per diversi mesi a studiare l’arte della calligrafia e la pittura su stoffa, perfezionando il soggetto floreale. Scrive nel suo diario di viaggio: «in ultimo ho compiuto il giro del mondo, attraversando la Germania, la Finlandia, la Russia e giungendo, per la transiberiana in Cina e di là, nel Giappone, nell’isola Honolulu sul Pacifico, a San Francisco in California, nelle primarie città nord-americane e ritornando a Napoli da New York.» (1922).

Dalle visite in questi luoghi nascono le Impressioni e i Ricordi di viaggio, tavolette di piccolo formato che fissano con pennellate luminose e rapide gli scorci dei paesi attraversati. Le opere furono riunite in una personale allestita nel 1914 a Londra, che mostra come la sua pittura figurativa abbia ricevuto le influenze dei pittori francesi classici prima, e impressionisti dopo. «Non c’è indecisione nei dipinti di Amalia Besso in mostra alle Ryder Galleries. Sono opere tecnicamente intelligenti con notevoli abilità creative. Le tele migliori sono lo studio della figura, "Capelli castani", che ha una finezza e una raffinatezza molto piacevole, e la "Stanza verde" abilmente dipinta. Tuttavia, ce ne sono diverse degne di attenzione», riporta la critica inglese.

Anche Roma in quegli anni aveva un’apertura internazionale con la Secessione, esposizioni che offrivano la possibilità di ammirare opere degli impressionisti francesi e della Secessione viennese. Goldmann Besso partecipa a tutte e quattro le Secessioni presentando opere diverse che testimoniano la metamorfosi della sua pittura.

La biografia dell’artista riportata nell’opuscolo commemorativo di Francesco Orestano, pubblicato post mortem, mette ben in luce queste due fasi della sua vita: quello della soggezione e quello della libera espansione, che rimanderebbe proprio alla manifestazione delle qualità artistiche della donna.

A rendere però eccentrico il percorso dell’artista ebrea triestina è di aver affiancato alla produzione pittorica l’impegno filantropico e il coinvolgimento sociopolitico agli albori dell’era fascista. Impegnata nella tutela dei bisognosi, dapprima come benefattrice poi come ispettrice degli asili israelitici e socia di Pro infantia per bambini indigenti, è ricordata come «una gentilissima signora sempre pronta ad aiutare ogni opera che giovi ai bambini.» (1910). Sin dal 1898, poi, fa parte della Federazione Romana Femminile, diventata poi Consiglio Nazionale delle Donne Italiane.

Negli anni Venti la sua pittura subisce diversi insuccessi, come il rifiuto della sua opera da parte della commissione della Biennale di Venezia del 1924, a cui scriverà tentando la riammissione: «Lavoro con tanta fede, studio sempre e non ho nessun successo!» (1923). Il riscatto per questa sconfitta arriva nel 1926 quando si tiene la prima retrospettiva nella sua Trieste, «affrontando per la prima volta il giudizio dei concittadini», come disse lei stessa. Quarantadue sono i dipinti in mostra: dalle popolane abruzzesi e sarde alla produzione dedicata a frutti e fiori «che sembrano sbocciar freschi e profumati dalle vivaci tele.» (1926). Seppur le sue opere stessero avendo un notevole successo sul mercato, entrando anche nelle collezioni reali, la critica sembrava spesso contraddirsi, elogiando la vividezza delle sue opere prima, definendola incapace di «produrre un onesto paesaggio fino al giorno della sua morte…» dopo.

In questi anni s’intensifica anche il suo impegno politico che la porta, dopo Caporetto a promuovere la formazione del Fascio Nazionale Femminile, ricoprendo poi il ruolo di segretaria nel gruppo romano tra il 1922 e il 1923. Evidente è come questa sua militanza abbia in qualche modo oscurato la pittura dell’artista. Difatti, nel già citato discorso commemorativo, Orestano dà risalto ai ‘meriti’ politici e di sostegno alle classi disagiate e chiarisce che Amalia Besso si faceva portatrice di un’idea della donna «come fattore di equilibrio sociale e politico, contro ogni sovversivismo» (1929), senza ricordare la sua carriera artistica.

Amalia Goldmann Besso si spegne a Roma il 29 ottobre 1929, senza potersi rendere conto che gli ideali in cui tanto credeva l’avrebbero tradita di lì a poco, senza assistere all’emanazione delle leggi per la difesa della razza e all’accanita rimozione della presenza ebraica nella vita del Paese. Nel 1938, infatti, Gino Sottochiesa in una polemica su “Quadrivio” propose di liberare le Gallerie d’arte Moderna dalla «pestilenza pseudo-artistica del giudaismo», elencando una serie di artisti ebrei da eliminare dai musei, tra cui compaiono i triestini Arturo Rietti, Arturo Nathan e Amalia Besso.

 

Si consiglia di visitare la Fondazione Marco Besso di Roma, per consultare lettere e appunti.