Varianti del nome: Bianca Pucciarelli Menna – Tomaso Binga
Luogo di nascita: Salerno
Data di nascita: 20 febbraio 1931
Ambito di attività: poesia visiva e sonora – performance
Ambito geografico di appartenenza: centro Italia (Roma
Qualifica: Artista
Periodo: XX e XXI secolo
Bianca Pucciarelli nasce nel 1931 a Salerno ma dall’età di 18 anni vive a Roma. Attratta fin da bambina dalla letteratura, inizia a lavorare in campo artistico dai primi anni Sessanta, uscendo allo scoperto solo nel 1971. Nel pieno del fervore femminista, in occasione della personale “L’oggetto reattivo” presso lo Studio Oggetto di Caserta assume il nome Tomaso Binga, pseudonimo oramai cucito indissolubilmente sulla sua persona. Per questa mostra-esordio l’artista sceglie in segno di protesta un nome maschile «che giocando sull’ironia e lo spiazzamento mettesse a nudo il privilegio maschile nel campo dell’arte.» (Binga, 2016).
In un’intervista rilasciata alla Rivista Arabeschi ha raccontato: «Questo mio nome maschile non fu accettato subito dagli altri o dalla famiglia, tranne che da Filiberto – Menna, marito di lei e grandissimo critico – che era un giocherellone. Lui lo prese come un gioco ma per me si trattava di una cosa seria perché in quel momento noi donne non avevamo, soprattutto nel campo dell’arte, nessuna voce in capitolo, non eravamo prese in considerazione. […] fu un gesto provocatorio come tanti altri gesti provocatori nella mia lunga vita.» (2021).
Sin dalle prime sculture realizzate con polistirolo e inserti fotografici, come ad esempio Donna in scatola del 1972 o Eva del 1973, Tomaso Binga analizza criticamente il linguaggio dominante ed esplora il ruolo della donna nella contemporaneità, ponendo l’accento sulla reificazione del corpo femminile. Il polistirolo per lei ha un fascino seducente, è un materiale considerato di scarto che è preso poco in considerazione, proprio come l’artista donna dal sistema dell’arte. Perciò, scegliendolo per le sue opere, l’autrice dona al materiale plastico una dignità estetica e un compito: farsi custode di immagini ritagliate da riviste, dove la donna non è altro che un corpo o uno sguardo seduttore.
Nei suoi lavori Binga indaga con caparbia i territori della poesia e dell’arte visiva, attraverso un doppio registro linguistico, un lessico che chiama in causa la parola scritta che diventa immagine, e l’immagine che ha la forza dialogica della parola. La sua è una pratica dell’arte come scrittura, un esercizio di stile costante e personalissimo, dove i segni calligrafici e il corpo femminile nudo si trovano l’uno accanto all’altro. Un incontro riconoscibile nell’allestimento per la collezione primavera estate 2020 di Dior, dove sono esibite negli spazi della sfilata le sue lettere dell’alfabeto femminile che incarnano la potenza del linguaggio e del corpo delle donne, ricostruendo le parole di una sua poesia, vera lode alla donna e alla sua forza rivoluzionaria.
L’artista agisce sulla parola con un processo di desemantizzazione e risemantizzazione del codice verbale, riducendo quindi progressivamente la componente semantica della scrittura per arrivare al nucleo centrale di tutto, il segno. Nelle sue opere significato e significante si alternano in un sapiente intreccio, spingendosi ai confini della parola e della pittura tradizionalmente intese e suggerendo suggestive e seducenti relazioni. Criptica, nascosta, a volte addirittura silenziosa, sono questi gli aggettivi che Binga sceglie per descrivere la sua scrittura, e aggiunge: «la mia è una scrittura subliminale, nel senso che essa agisce (vorrei che agisse) dentro di noi senza essere distratti dal significato corrente delle parole e senza essere frastornati dal suono delle parole stesse.» (1974).
Scrittura, pittura, disegno, installazione e performance sono alcuni tra i media sperimentati da Binga. Nel suo dizionario artistico si trovano parole, gesti e corpi elegantemente composti con ironia e metafore, grazie a un codice linguistico pungente e sofisticato, forte veicolo di contenuti sociopolitici.
Fin dalle prime poesie performative, infatti, l’artista esplora il mondo della sonorità della parola, caricandola di denuncia contro problematiche sociali legate alla condizione della donna in un’ambiente fortemente maschilista. Attraverso l’azione fisica di declamare e interpretare le poesie, analizza i cambiamenti del linguaggio e le variazioni della sua voce, sperimentando anche con la poesia sonora. L’incontro con la fotografa Verita Monselles poi, le permetterà dal 1976 di lavorare nel campo della performance con uno sguardo più ampio sulla pratica.
Secondo Cristina Casero, storica dell'arte contemporanea, è la decostruzione la chiave di lettura di tutta la ricerca di Binga: «La decostruzione dei miti, sociali, culturali ed esistenziali, che chiaramente coinvolge il linguaggio, visivo e verbale, il quale vive di convenzioni sociali e che, soprattutto, è chiaramente un portato culturale e non ‘naturale’. Dunque, questo smontaggio, radicale e sistematico nell’opera dell’autrice, costituisce il suo contributo essenziale alla pratica femminista: Binga, come molte altre artiste attive in questo contesto, azzerando il linguaggio non può che ripartire dal corpo, indiscusso protagonista delle ricerche femministe, sin dalle origini, sin dalle prime esperienze svolte in questa direzione nell’Ottocento.» (2021).
Vere guerriglie femministe sono le azioni Poesia Muta (1977), Ti scrivo solo di Domenica (1978) o Io sono una Carta da Parato (1976). In quest’ultima, realizzata in un’abitazione privata romana, l’artista ricopre i muri di tutte le stanze con carte da parati da lei stessa disegnata con segni grafici. Una scrittura non leggibile, desemantizzata appunto, che si ritrova anche sul suo vestito, cucito con la stessa carta. Durante la performance Binga si mimetizza con lo spazio, è immobile eccetto quando si anima per recitare una sua poesia. L’azione vuole dare forma fisica all’espressione “fare carta da parati”, riferita a quelle donne, considerate poco attraenti, che alle feste non venivano invitate a ballare e restavano in attesa, incollate alle pareti. Confondendosi con lo spazio domestico, luogo tradizionalmente femminile, l’artista rappresenta la difficoltà della donna di esprimersi liberamente. Mette in scena una storia, quella della donna, fatta di silenzi forzati, non detti, parole trattenute e ideali di bellezza a cui non può e non vuole conformarsi.
Nella sua ricerca, oggi ancora estremamente attuale, Tomaso Binga sfida inoltre i limiti tra maschile e femminile con l'obiettivo di sovvertire le strutture simboliche della cultura patriarcale, scontrandosi in maniera decisa con la retorica del linguaggio. Durante la storica performance Oggi Spose (1977), ad esempio, ha inscenato un finto sposalizio con il suo alter-ego maschile, in segno di protesta contro le disuguaglianze nel mondo dell'arte e della cultura. Per amplificare la resa della parola Binga ha quindi combinato la dimensione corporale a instaurare un rapporto più diretto con il suo fruitore, con-fondendo già i due linguaggi all’elemento della voce e della gestualità.
Come ha sottolineato Stefania Zuliani, studiosa dei rapporti fra arte, poesia e critica d'arte nel Novecento, Binga «costruisce il suo flessibile alfabeto, fatto di segni e di gesti sonori, di accenti e invenzioni irriverenti, lavorando appunto sul corpo, sul suo stesso corpo di donna che, fuori dalle convenzioni, da ogni connotazione sociale, diviene inequivocabilmente lettera e simbolo.» (2021).
Dal 1974 dirige l’associazione culturale romana Lavatoio Contumaciale, che si occupa di poesia, teatro, arti visive, letteratura, musica, cinema e nuovi media, svolgendo un'intensa attività di valorizzazione e promozione delle arti attraverso la proposta di manifestazioni e dibattiti. Un nome portatore di storia. Dichiara nel 2021: «Ho lasciato il nome che ho trovato sulla porta. Era un ex lavatoio contumaciale dove venivano lavati e bolliti i panni delle malattie infettive e quindi ho lasciato quel nome perché mi è sembrato emblematico: come lì si lavavano i panni infetti noi volevamo bollire e lavare le idee infette e passatiste».
Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, e tra queste si ricordano le esposizioni a cura di Romana Loda – personaggio chiave nella diffusione dell'arte femminista – come “Coazione a mostrare” (1974), “Magma” (1975) e “Il volto sinistro dell’arte” (1977); le mostre e le performance realizzate con Verita Monselles – brillante fotografa, nota soprattutto per le sue fotografie al femminile – quali Litanie Lauretane (1976) e Poesia Muta (1977). Inoltre, partecipò alla rivoluzionaria mostra “Materializzazione del linguaggio”, curata da Mirella Bentivoglio in occasione della Biennale di Venezia del 1978, dove presenta i primi Dattilocodici.
Tra le mostre recenti si segnalano la retrospettiva “Autoritratto di un matrimonio” al Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma (2005), le personali alla Fondazione Federico J. Klemm a Buenos Aires (2006), “Viaggio nella parola” a La Spezia (2007), “Zitta tu… non parlare!” alla Sala Santa Rita di Roma (2014), “Tomaso Binga: A Silenced Victory” presso Mimosa House a Londra (2019) e “Tomaso Binga. Parole abitate” alla Galleria Frittelli di Firenze (2022). Nel 2019 ha preso parte alla mostra “The Unexpected Subject. 1978 Art and Feminism in Italy” al Centro culturale Frigoriferi Milanesi e l’anno seguente la Galleria Mascherino di Roma ha dedicato un’intera antologica ai suoi “Feminist Works” realizzati tra gli anni Settanta e Ottanta.
Molto forte in Binga è l’attitudine a confrontarsi e collaborare con altri artisti partecipando a performance e mostre collettive. Solo nel 2020 infatti ha preso parte a tre performance e due collettive tra Monaco, Namur, Ginevra, Brescia e Roma. Ha detto: «Oggi più di ieri non salgo su alcun piedistallo (la mia età non me lo consentirebbe) ma sempre più spesso mi esibisco con allegria insieme a giovani artisti, nei centri sociali e nei bar/biblioteche, dove ringraziando accetto con gioia solo il rimborso del taxi.» (2016).
Si consiglia di consultare il sito della Fondazione Filiberto e Bianca Menna.
- I. Mussa, Tomaso Binga: paesi nuovi, catalogo della mostra alla Art Gallery di Roma, 23 maggio - 7 giugno 1972
- G. Dorfles, E. Maurizi, Tomaso Binga. Il corpo della scrittura, catalogo della mostra alla Pinacoteca e Musei comunali di Macerata, marzo-aprile 1981, Coopedit, Macerata 1981
- T. Binga, Poema con scrittura dorata, in «Dismisura», A. 12. n. 63/66, Frosinone 1983
- T. Binga, In dovina cos’è, Hetea, Alatri 1987
- F. Moschini, Tomaso Binga: storie di ordinaria scrittura 1970-1987, catalogo della mostra alla A.A.M. Gallery di Roma, giugno 1987, Edizioni A.A.M./COOP. Architettura Arte Moderna, Roma 1987
- F. Ruggeri, Storie di ordinaria scrittura. Tomaso Binga e il fascino del confine, in «Arte & Cronaca» n. 6-7, anno II, agosto-ottobre 1987
- T. Binga, Vorrei essere un vigile urbano, U. Sala, Pescara 1995
- T. Binga, Poesia muta: femminismo poetico anni ’70, in «I quaderni del Lavatoio», Roma 1996
- T. Binga, Libro sesto, in «Secondo tempo», Marcus, Napoli 1999
- S. Lux, M. F. Zeuli, Tomaso Binga. Autoritratto di un matrimonio, Gangemi, Roma 2004
- T. Binga, Poesie ma non solo. Inediti 1941 – 1964, Edizione Lidia, 2005
- T. Binga, Valore vaginale, Tracce, Pescara 2009
- A. Tolve, S. Zuliani, Tomaso Binga. Scritture viventi, Plectica, Salerno 2014
- R. Perna, Il privilegio del nome maschile, intervista a Tomaso Binga, in «Operaviva», 18 luglio 2016 (leggi qui)
- A. D’Elia, Tomaso Binga: riflessioni a puntate, catalogo della mostra alla Fondazione Studio Carrieri Noesi di Martina Franca, 9 giugno - 18 agosto 2018, Bastogi Libri, Roma 2018
- C. Perrella, Tomaso Binga: la parola è donna, in «Flash Art», febbraio 2018 (leggi qui)
- T. Binga, Come un’autobiografia, in «Insula europea», 9 febbraio 2021 (leggi qui)
- C. Casero, R. Perna, Incontro con Tomaso Binga, 17 aprile 2021, Rivista Arabeschi, Catania 2021 (guarda qui)
- R. Perna, Tomaso Binga. Parole abitate, catalogo della mostra alla Galleria Frittelli di Firenze, 16 settembre – novembre 2022, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2022