La discriminazione è un comportamento (un’azione o una omissione) che causa un trattamento non paritario di una persona o un gruppo di persone, in virtù della loro appartenenza ad un determinato gruppo sociale.
Affinché si possa parlare di discriminazione, è quindi necessario che il comportamento sia motivato solamente dall’appartenenza della persona o delle persone discriminate a detta categoria e che tale appartenenza non sia oggettivamente rilevante.
Infatti, se discriminazione significa fondamentalmente “distinzione”, non tutte le distinzioni sono ingiustificate e quindi discriminatorie.
Un regista che cerchi un’attrice per la parte di una donna, distingue tra attori uomini e attrici donne; il suo comportamento è però giustificato da fattori oggettivi e rilevanti rispetto alla scelta e quindi non è discriminatorio.
La titolare di un negozio che cerchi solo commesse donne distingue i candidati e le candidate sulla base di un fattore (il genere) che non è oggettivamente rilevante per lo svolgimento del lavoro e che quindi si rivela come discriminatorio.
La discriminazione si divide in:
Si ha discriminazione diretta quando si agisce per mettere una persona o un gruppo di persone in una situazione di svantaggio.
La discriminazione Indiretta si ha quando una norma, un criterio o un parametro apparentemente neutri mettono in una situazione di svantaggio una categoria di persone.
Un esempio per illustrare i diversi tipi di situazione: un’impresa che cerchi personale e specifichi che non assumerà persone straniere sta attuando un comportamento discriminatorio (discriminazione diretta) che è vietato dalla legge.
Se specifica invece che cerca solo personale che parli perfettamente l’italiano, sta utilizzando un parametro apparentemente neutro che però mette le persone straniere in una posizione di svantaggio (discriminazione indiretta).
Se per il lavoro è fondamentale la padronanza dell’italiano (centralinista, receptionist), allora si tratta di un parametro rilevante nella selezione del personale e quindi non discriminatorio.
Se invece per il posto di lavoro non è necessario parlare perfettamente l’italiano, il parametro non è rilevante per il lavoro svolto e non dovrebbe quindi esserlo per la selezione.
Si ha quindi un caso di discriminazione indiretta, anche questa vietata dalla legge.
La legge prevede un terzo tipo di comportamento definibile come discriminatorio: le molestie.
Per molestia si intende un comportamento non desiderato, messo in atto allo scopo o con la conseguenza di ledere la dignità di una persona.
Quando tale comportamento è motivato da caratteristiche che la legge riconosce come fattori di discriminazione (genere,origine etnica,religione,orientamento sessuale,età,ecc.), allora la molestia diventa discriminatoria.
Tutte le molestie sono un reato vietato e punito dalla legge.
Quando però una molestia è motivata dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale, dalla
disabilità della vittima, allora il comportamento è punibile anche tramite la legislazione antidiscriminazione.
La discriminazione diretta e indiretta è sempre una forma di esclusione da risorse economiche, sociali e culturali (negare una casa in affitto, licenziare, allontanare da un locale pubblico ecc.).
Non tutte le forme di esclusione sono però casi di discriminazione.
La discriminazione è una distinzione (esclusione) immotivata in quanto basata su un aspetto dell’identità della persona discriminata che non dovrebbe essere rilevante.
Se questo aspetto dell’identità è invece rilevante (il genere se si cerca un’attrice, l’abilità se si cerca un atleta...), l’esclusione non è discriminatoria.
Può però succedere che la persona esclusa non percepisca l’oggettività della scelta e si senta discriminata.
Gli episodi di discriminazione sono spesso accompagnati da conflitti.
In particolare le molestie discriminatorie sono sempre portatrici di conflittualità.
Allo stesso tempo, conflitti che nascono per motivazioni che non sono discriminatorie possono dare luogo a comportamenti discriminatori.
In questi casi è molto importante capire quale sia la dinamica delle relazioni tra le persone in conflitto: è nato prima il conflitto o la discriminazione?
È successo che un conflitto sia nato per un motivo qualunque (tra condomini per il rumore, tra vicini per l’attribuzione di un pezzo di terra...) e nell’escalation una delle parti abbia utilizzato toni o parole discriminatorie?
O è successo che una persona verso cui sono stati usati toni o parole discriminatorie abbia risposto, innescando una dinamica conflittuale?
In entrambi i casi la dimensione discriminatoria è presente, ma a seconda della dinamica sarà più efficace utilizzare metodi di mediazione dei conflitti o altri strumenti.