Il 1 aprile 1809 il Governo napoleonico istituì a Bologna una Casa d'industria, per ridurre l'accattonaggio, dando agli indigenti la possibilità di guadagnarsi da vivere lavorando.
Dal 1 aprile 1820 si chiamò Casa provinciale di lavoro. Mensilmente, l'amministrazione della Casa rendicontava alla Commissione amministrativa, trasmettendo anche le tariffe aggiornate di retribuzione dei lavoratori e di vendita dei manufatti. Il lavoro, che i bisognosi (in gran parte donne) svolgevano presso le proprie case, con il vantaggio di potersi dedicare alla famiglia, consisteva nella filatura di lana, lino e canapa, e nella realizzazione di manufatti con queste fibre e con il cotone. Si trattava spesso di persone poco idonee al lavoro, e del tutto prive di occupazione, ammesse alla Casa dietro presentazione di un'istanza e di un certificato di miserabilità rilasciato dal Parroco, e previo versamento, da parte di un garante, di una cauzione (sigurtà) proporzionata al valore della materia prima loro affidata.
I prezzi di vendita dei manufatti erano decisamente convenienti per gli acquirenti. In forza di tutte queste considerazioni, lo stabilimento venne definito politico-economico-comerciale. Il 16 novembre 1857 il Consiglio provinciale, riconosciuto lo stato di crisi in cui versava il bilancio della Casa, concluse per l'impossibilità di un progetto di risanamento; tuttavia, la chiusura dello stabilimento, dovuta all'aumento del costo della manodopera e alla meccanizzazione dell'industria della filanda, avvenne solo nel 1861.L'archivio è costituito per lo più da documentazione contabile, relativa alla gestione dello stabilimento e al movimento delle merci; sono inoltre presenti fascicoli personali dei lavoratori.
Estremi cronologici: 1818-1861
Consistenza: bb. 191, regg. 50
Strumenti di corredo: inventario analitico